sabato 23 giugno 2007

Io Amo Amon Goth


Io amo Amon Goth, comandante delle SS in Schindler’s List.
Sono un feticista del nazismo: stivali, teschi, aquile, berretti col cordoncino (sottogola) argentato, mitra mp40, Luger Parabellum, fasce da braccio e croci di ferro mi fanno aumentare le pulsazioni. Se poi è in bianco e nero vengo. Non sono nazista. Non ho alcun pregiudizio etnico o religioso. Non sono neanche di destra.
Ma l’incarnazione dell’archetipo junghiano del male ha troppa presa su di me.
Ralph Fiennes in uniforme, impermeabile lungo fino ai piedi, berretto col teschio, guanti di pelle e sigaretta stretta alla base di indice e medio, con lo sguardo freddo, più freddo del mondo, che dice “sturmbannfuhrer…. Le spari qui, davanti a tutti. La autorizzo io”. E il tono di voce. Non è iroso. Non abbaia gli ordini come i nazisti dei film anni ’60. Non è nemmeno compiaciuto, o sadico.
E’ annoiato.
Per lui il campo di concentramento che dirige non ha senso, visto che gi ebrei (e in generale chiunque possa accollarsi le sue carenze affettive con annesse nevrosi) dovrebbero essere fucilati seduta stante, di modo da riportare un riflesso distorto di equilibrio nella sua testa con teschio e aquila d’argento.
“Le spari qui, davanti a tutti. La autorizzo io”.
Annoiato.
E’ pazzo. Non un pazzo da melodramma, però. Non un isterico che sbraita, si fa del male da solo o parla con le pareti.
Amon Goth (così come lo vedono Spielberg e Fiennes) è la banalità del male fatta persona. Un personaggio che fisicamente si impone allo sguardo solo quando indossa l’uniforme. Altrimenti (a un certo punto lo vediamo) è l’individuo più squallido del mondo, e a ragione non gli attribuiresti mai la capacità di uccidere e torturare.
La sua vita sono le scene nel campo di Plaztov e nel ghetto di Varsavia durante la liquidazione, fuori dalle quali non ha identità.
Ma vogliamo parlare di quando, dopo una delle scene più strazianti del film (la liquidazione appunto), dopo che le SS hanno ucciso persone indifese, dopo che abbiamo visto montagne di cadaveri contratti nel rigor mortis, schizzi di sangue sulla neve, soldati che sparano in testa ad anziani, donne e bambini, dopo che un ufficiale suona Mozart al pianoforte di una casa e nella stanza a fianco si vedono i bagliori dei mitra e si sentono le urla… DOPO LA BAMBINA COI BOCCOLI BIONDI COL CAPPOTTINO ROSSO, che quando la vedi camminare in mezzo all’orrore puro ti cola qualcosa dentro…
C’è lui.
Seduto sullo sgabello da cui dirige le operazioni per la strada.
Che si asciuga la faccia con un asciugamani immacolato.
“Ah… vorrei che finisse questa schifo di notte”.
Con l’aria di chi sta in coda da due ore al casello.
Capisci che Jung aveva ragione, perché quella figura di fiction incarna tutti (e se ci pensi sono anche troppi) gli stereotipi dello psicopatico. E noi lo accettiamo, perché essendo uno stereotipo è già dentro di noi. E non diremo mai, anche se in realtà è così, “No, questo è troppo. Un essere umano non ha mai fatto questo e mai lo farà”.
E naturalmente lo stesso discorso vale per la maggior parte dei personaggi del cinema americano: l’eroe, il villan, la damigella insidiata, l’aiutante idiota ecc. Come dice Eco, “un solo stereotipo fa ridere, ma dieci nella stessa opera fanno un capolavoro”.
Ma torniamo a lui.
Lui che per ginnastica la mattina spara col fucile di precisione sui prigionieri così, perché gli va.
Lui che mentre percorre in macchina una strada fatta di lapidi di ebrei morti confiscate dalle SS, e gli spiegano con raccapricciante precisione il funzionamento del campo di Plaztov chiedendogli se ha domande da fare sul come mandare avanti la baracca, risponde (stavolta un po’ irritato): “Ja. Perché la capote e abbassata? Sto gelando”, con l’occhio da psicopatico (leggi: non me ne frega un cazzo, lasciali crepare e facciamoci un bicchierino nella mia villa).
Lui che ad un certo punto ha anche una specie di conflitto interiore, quando si innamora della cameriera che però è ebrea, quindi forse è meglio ucciderla (“Sì, lo so… probabilmente la cosa più umana da fare sarebbe portarti nel bosco e spararti, ma non ce la faccio”), e allora nel dubbio la violenta.
LUI CHE UCCIDE LA BAMBINA COI BOCCOLI BIONDI COL CAPPOTTINO ROSSO (altro subdolo archetipo).
Lui, dicevo, è lo psicopatico doc. Ripeto sempre “psicopatico” (e non “maniaco” o peggio “schizofrenico”) perché questo è il termine adatto, il termine scientifico per designare chi prova le stesse sensazioni nel vedere la madre morire di morte violenta e nel bersi un caffè al bar la mattina.
Insomma freddezza totale patologica, forse frutto di traumi infantili e carenze d’affetto, condita con uniformi elegantissime e stivali lucidissimi, più la consapevolezza che a causa della follia del mondo la tua follia diventa legge e puoi esprimere le tue pulsioni profonde e violente (insomma la parte che ci siamo lasciati indietro noi umani) incutendo timore atavico del caos: questo è herr Komandant Amon Goth in Schindler’s List.
Forse è l’estremizzazione di quello che vorrei essere io, almeno un pochino, perché magari sarebbe divertente.

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